Questa
rubrica è una delle prime ad esser state pubblicate su Cereali di Frutta.
E’ iniziata dal vecchio del PD che ci illuminava sulla situazione (corrotta)
italiana. Quasi due anni fa.
Poi è stata la volta di Lucilla, Stefania e il piede ingombrante.
(Se non sapete di cosa sto parlando, andate a recuperare questi post)
Oggi, signori e signore, si conclude la trilogia.
Quello che
mi è successo l’altro giorno in pullman, in soli cinque minuti, ha
dell’incredibile.
E non importa se non ero in metro, perché qui i titoli dei post li decido io.
Cronache di un Viaggio in Metro: Volume tre.
Salgo sul pullman sotto casa.
Neanche il tempo di salire che già sento l’autista (lo chiameremo Guido)
lamentarsi con un altro autista (anche lui di nome Guido): parla di sindacati,
sindacalisti, di autisti vecchi liquidati per far spazio a quelli nuovi.
Un gran
casino.
Il pullman è praticamente deserto: in prima fila c’è, ovviamente, la
scassamaroni, quella che cerca ogni volta di chiacchierare insistentemente con Guido.
Gli altri passeggeri del pullman sono solo tre:
una signora (che chiameremo Giuditta), un anziano alla mia destra
(lui, invece, Enrico) e un’altra persona, in fondo. Senza nome perché non ci serve.
Io sto cercando delicatamente di origliare la discussione di Guido farmi i
fatti miei, quando il pullman si ferma. Siamo in coda. Sono le cinque di
pomeriggio.
Fottuta ora
di punta.
Enrico inizia a sbuffare, è visibilmente infastidito da quella moltitudine di
auto.
Ma oh, dato che deve perdere tempo, inizia a parlare: “Eh, questa coda… dai, che devo arrivare a casa”.
Ma oh, dato che deve perdere tempo, inizia a parlare: “Eh, questa coda… dai, che devo arrivare a casa”.
Enrico è il tipico signorotto annoiato dalla vita: non sa che fare, quindi,
gira per Torino e cintura.
Enrico in una foto di repertorio fasulla
“Eh, signore, siamo nell’ora di punta, la gente torna da lavorare!” risponde Giuditta, nel modo più dolce possibile. Senza riuscirci.
“Eh… invece è da 25 anni che non lavoro più!” replica Enrico.
“Prima si iniziava a lavorare molto prima… ora i ragazzi devono studiare perché senza un diploma, dove si va? Lei l’ha trovato subito, il lavoro…”
“Eh, guardi, ormai è venticinque anni che sono a casa…” – Enrico, davvero. Già l’avevi detto – “Ma mia moglie è davvero stressante, quindi sono sempre in giro! Però, questa coda… dai, che sono quasi le sei”.
“Ma signore, dove deve andare? Deve mangiare?”
“A casa mangio dopo le sette.”
“E allora, che fretta ha? Eh, voi uomini, siete sempre i soliti! Volete sempre essere veloci, mai un po’ di calma! Siete strani eh… Chissà sua moglie, che donna deve essere!”
“E lei? Signora, come fa con suo marito? Ce l’ha?”
Silenzio imbarazzato.
Non si capisce bene se Giuditta sia una zitellona o abbia perso il marito.
“Eh, eh… massì… Eh…” Giuditta evita il discorso, fa finta che nessuno abbia
sentito la domanda.
Lui, Enrico, ci rimane malissimo.
Giuditta
cambia discorso. Mi vede, mi indica.
Tipo così.
“Ora, questi
ragazzi chissà se lo troveranno mai, un lavoro! Tu, quanti anni hai? Vai
ancora a scuola?”
Sinceramente non me la sentivo di rispondere male a ‘sta signora presa a pugni dal
destino.
“18…”
“Oh, ma sei
ancora giovanissimo!”
Mentre
Giuditta continua a tempestarmi di gap generazionali tra discoteche e balere, Enrico guarda fuori dal finestrino. Nota che le auto usano una sorta di corsia d’emergenza per svicolare in una
traversa.
SACRILEGIO.
“Eh, se queste macchine non ci superassero dalla corsia di emergenza arriveremmo tutti prima!” sbotta furiosamente.
“Eh, se queste macchine non ci superassero dalla corsia di emergenza arriveremmo tutti prima!” sbotta furiosamente.
Incazzato nero continua a imprecare verso tutti gli automobilisti, senza distinzione.
A nulla
serve dirgli che in questo modo la coda diminuisce: la sua è invidia.
“Si dovrebbe calmare e godersi il viaggio, tanto dove deve andare?” continua a ripetere Giuditta.
Enrico esplode.
Non ce la fa più: "Guardi, signora, lei pensa proprio male. Ma la smetta di dire queste cose.”
Non ce la fa più: "Guardi, signora, lei pensa proprio male. Ma la smetta di dire queste cose.”
Più cattivo
Enrico, di più, di più!
Giuditta non
risponde, biascica due parole ma nulla più e arriviamo al capolinea.
Scendiamo tutti.
Tranne Enrico.
Lui rimane
seduto, per un altro entusiasmante viaggio.
I suoi
pomeriggi “sempre in giro” li passa sulla linea del pullman, facendo avanti e
indietro.
Il mettere fretta, l’incazzarsi con le auto che passano, le frasi ripetute, la cattiveria nei confronti di Giuditta: Tutto un gioco.
La nobile
arte del trollaggio.Ché pur di star lontana da sua moglie, farebbe di tutto.
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